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Psicoterapia o psicoanalisi?

La scelta di iniziare una psicoterapia o psicoanalisi spesso si ativa a partire da un malessere psicologico ma non necessariamente deve essere così.

La spinta può arrivare dal bisogno di conoscere meglio se stessi e in particolare il proprio mondo interno.

Per dirla con Freud, si vuol comprendere se stessi in profondità, conoscere il proprio inconscio, almeno in parte.

E’ nota la metafora freudiana che se paragoniamo la nostra mente ad un iceberg, la parte affiorante corrisponde alla parte psichica di cui abbiamo conoscenza.

Ma è la parte sotto il livello dell’acqua, molto più grande, la parte inconscia della mente.

nell’inconscio

E proprio da lì, dall’inconscio, partono tanti gesti quotidiani, o pensieri, o scelte o mancate scelte, idee, energie o tristezze, fino a sintomi vari o espressioni di malessere psicologico che si esprimono sul corpo, come insegna la psicosomatica.

Nel pensiero del padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, nell’inconscio risiede anche tutto il contenuto psichico rimosso, per motivi di equilibri mentali e quadri clinici rispondenti alla storia individuale di ognuno.

L’inconscio è anche l’idea di un ricettacolo di aspetti che non riconosciamo come nostri, fantasie o accadimenti del passato che vengono come “dimenticati” e riportati alla coscienza solo con il lavoro psicoanalitico.

Ricordiamo anche che il termine psicoananlisi è riservato alla specifica tecnica emersa dalla teoria del suo fondatore, Freud per l’appunto.

Tutte le altre forme di psicoterapia orientate al disvelamento di parti che ancora non abbiamo incontrato sul piano di coscienza ma forse solo nei sogni o in fantasie o immaginazioni, rientrano nelle psicoterapie psicodinamiche.

Anche la psicologia elaborata da Carl Gustav Jung è psicodinamica, quindi ascolta i sogni, considera i miti, favorisce l’immaginazione attiva ma non è corretto identificarla col termine psicoanalisi riservato a Freud; si chiama invece psicologia analitica o psicologia complessa.

Ogni psicoterapia o psicoanalisi che dir si voglia in ogni caso ascolta il paziente, questo è l’elemento comune a tutte, forse l’unico.

Quell’ascolto diviene strumento terapeutico efficace quando torna al paziente rielaborato e amplificato per promuovere una nuova edizione dela sua storia.

psicoterapia

E’ tale ogni forma di intervento psicologico che, a cura di un professionista formato a norma di legge e specializzato successivamente alla laurea, si propone di sostenere la persona nei momenti critici, ne promuove lo sviluppo psicologico e ne favorisce la crescita personale.

Per un risultato di migliore conoscenza di sè e pienezza di vita, per trovare il senso alle proprie esperienze, percorrendo insieme un progetto terapeutico elaborato e proposto dal professionista.

Ai prossimi articoli! approfondiremo questi aspetti.

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M. L. Von Franz

Su M. L. Von Franze si è tenuto poco tempo fa un convegno a Roma molto interessante.

Molto interessante per la partecipazione di studiosi della più celebre allieva di Carl Gustav Jung, arrivati a Roma dalla Svizzera, patria dei grandi della psicologia analitica.

Si celebravano i venti anni dalla scomparsa della  M.L.Von Franz ricordando i suoi punti salienti.

Il giornale Vogue le fece un’intervista ancora molto attuale e da questa riporto qualche stralcio illuminante:

 When Marie Louise Von Franz was an eighteen – year – old student, she met Carl Gustav Jung.

All she knew about him was that he was a famous psychologist.

What she knew of psychology  came down to the way a teacher had thought Hamlet with a freudian explanation and Faust with a junghian explanation.

A decisive turn into the conversation came when Jung told the group of student who’d come to see him about a female patient :

that patient had had a vision of being on the moon.

Questo incipit mi è parso alquanto sugestivo e volentieri riporto qalche altro brano dell’intervista, per gentile concessione della redazione che ne ha divulgato copia.

Intanto possiamo dire che la M.L. Von Franz in quegli anni era creatura alquanto razionale.

Lei stessa dice all’intervistatore di aver pensato ” but she wasn’t on the moon” !

Splendida la risposta di Jung che, guardandola negli occhi , come lei stessa ci dice, le rispose “Yes, she was”. 

Queste sintesi linguistiche sono tra quelle che a me fanno amare molto la lingua inglese.

E con ciò lo psichiatra svizzero le sintetizzò che ciò che accade psichicamente è reale, anche se ancora nessuno è mai andato sulla luna, a quel tempo .. e ciò che accade fuori può essere secondario, come conseguenza di quello.

La sera racconta l’autrice di aver pensato che le sarebbero occorsi almeno dieci anni per digerire questa impostazione che le aveva suggerito that old man ma poi ci dice che it took me all my life dove it è naturalmente riferito alle parole ascoltate.

 

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Parole junghiane

Parole che curano, Talking cure, come disse una paziente di Freud agli inizi del secolo scorso rendendosi conto che la terapia psicoanalitica consisteva in parole, parole che curano.

Il discorso analitico si dipana tra paziente e analista, alternando voce e silenzi.

Parole spontanee del paziente, e poi scelte del terapeuta.

Un racconto che svela il senso profondo che un discorso narrato dal paziente può significare nella storia della sua vita.

A volte le parole sono quasi una traduzione in altro linguaggio di ciò che un simbolo, a volte un sintomo, cercano di dire.

Il simbolo si fa voce rappresentativa di un mondo interno inaspettato e sorprendente che si esprime per immagini, che sono il linguaggio dell’inconscio.

Quando diciamo che le parole curano, stiamo sottendendo che le parole costruiscono una relazione, un filo di connessione tra il paziente e il terapeuta, e quella relazione sarà la vera cura.

Come avverrà la cura,  il miglioramento dei sintomi che il paziente porta dal l’analista?

E’ la relazione che cura.

Importante e fondamentale diviene così la personalità del curante, la sua capacità di aver conosciuto se stesso e le proprie dinamiche inconsce.

Questo permetterà alla cura, o terapia psicologica analitica, di procedere senza incagliarsi in letture miopi di quanto avviene al’interno della relazione psicoteraputica, senza “agiti” nei cinquanta minuti di lavoro terapeutico che fraintendano i contenuti profondi sottostanti.

Proviamo a spiegarci meglio:

Da parte di un terapeuta adeguatamente formato, competente ed esperto non è ammissibile un “agito”,

cioè  mettere in atto,senza consapevolezza, parole o comportamenti che nascono dal proprio inconscio.

Da parte del paziente ogni “agito” sarà il suo modo di essere dentro la relazione e dovrà essere cura del terapeuta osservarlo, se è il caso mostrare al paziente stesso il senso profondo di quella comunicazione.

In quel momento stesso o successivamente, quando il paziente sarà nella condizione di afferrarne il significato e l’utilità per se steso e il proprio cambiamento.

 

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Trickster

Il Trickster o Briccone Divino è un archetipo.

Lo immagino fare capolino , nel senso di attivazione di energia psichica , in una azione o in un comportamento o in una vicenda in cui la prospettiva sia in un certo senso “doppia” o ingannevole, con equivoci o ambiguità.

Il Trickster non è bello né brutto, è semplicemente una prospettiva.

L’energia psichica che ciò che chiamiamo archetipo smuove, attraverso i simboli che lo stesso archetipo incarna, è molto potente e nelle storie e leggende è quella che mette in moto cambiamenti impensabili e imprevedibili, attraverso l’archetipo che conosciamo come Trickster

In un racconto proprio dal Trickster  prende le mosse una forza psichica operante attivamente, la quale  genera l’spetto avventuroso o di intrigo interessante.

E per chi legge si attiva una uguale forza e così  l’interesse viene catturato.

L’esempio più classico è rappresentato dal Mercurio mitologico, tra gli Dei il Messaggero, Ermes per la Grecia classica che, ancora in fasce, rubò con l’inganno alcuni buoi a suo fratello Apollo. Quando fu scoperto, davanti al consesso degli Dei dell’Olimpo, negò tutto e si mise a suonare la lira che aveva appena costruito con un guscio di tartaruga.

E’ facile per noi qui riconoscere il comportamento tipico dei bambini, quando vengono scoperti con le mani nel sacco.

Apollo appena sentì quella musica soave lo perdonò e si mise a ridere affascinato sia dalla musica ma anche dalla spudoratezza infantile di Ermes.
Zeus, ridendo anche lui di quell’impresa compiuta da un bambino così piccolo ma già così furbetto, lo nominò messaggero degli dei perché per questo ruolo occorreva una certa dote di eloquenza, della quale Mercurio divenne il Dio riconosciuto.

Dal suo nome deriva anche il termine ermeneutica, l’arte dell’interpretazione, e rappresentò anche il Dio dell’astuzia, della scaltrezza, del trasformismo: ad Ermes si innalzavano cumuli di pietre, ai bivii in cui si era incerti sulla direzione da prendere, per chiedere consiglio.

Si riteneva Ermes una figura intermedia che non apparteneva del tutto al mondo degli Dei né a quello degli uomini e dunque estraneo alle norme che regolano ciascuno di questi due mondi ma proprio per questo motivo capace di operare ai margini dell’uno e dell’altro, capace di mettere in contatto tra loro ambiti altrimenti destinati a rimanere eternamente divisi e separati dall’incomunicabilità.

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Coscienza e Inconscio

La coscienza è  un tema sempre interessante e in una delle sue conferenze alla Tavistock Clinic di Londra negli anni trenta dello scorso secolo, Carl Gustav Jung esprimeva le proprie concezioni circa il mondo psichico:

cosa è la coscienza ?

e’ senz’altro il prodotto della percezione e dell’orientamento nel mondo esterno.

E dove si localizza?

È probabilmente localizzata nel cerebrum, di  origine ectodermica e fu probabilmente un organo sensoriale della pelle fin dai

nostri lontani progenitori.

Per questo conserverebbe questo aspetto di sensazione e di orientamento.

Queste le parole di Jung, quale definizione fu mai più sintetica eppure efficace?

Dalla Treccani si legge che la coscienza è la

“Consapevolezza che il soggetto ha di sé stesso e del mondo esterno con cui è in rapporto, della propria identità e del complesso delle proprie attività interiori”

Oggi diremmo che si tratta di un fenomeno molto difficile da definire perché non assoggettabile a verifiche empiriche.

Eppure è la base della nostra vita cognitiva, del nostro ricordarci chi siamo, del nostro procedere nel mondo, nel tempo e nello spazio.

Se la coscienza ci abbandona per malattia neurodegenerativa o stati alterati indotti da traumi o da farmaci, la persona non è quella che conosciamo, diviene altro.

Altro con cui è difficile entrare in contatto, impossibile nei modi consueti e noti, forse solo possibile su livelli sottili dell’esperienza che trascendono il mondo ordinario per come lo conosciamo.

Ancora C.G.Jung dice che l’inconscio è la base di partenza e da esso sorge e sviluppa la coscienza: nella prima infanzia agiamo inconsciamente e le funzioni più importanti per la sopravvivenza sono di natura istintiva.

Per Jung “l’Io è il complesso che privilegiamo, sempre al centro della nostra attenzione e dei nostri desideri e rappresenta il punto focale assolutamente indispensabile alla coscienza”

Oltre l’Io si apre il vasto mondo endpsichico, un fitto sistema di relazione tra i contenuti della coscienza e alcuni processi che vengono postulati nell’inconscio.

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Musa ispiratrice

Poesia e psiche

            Poesia e poeti incontrano la nostra psiche quando iniziamo l’adolescenza…

poesie da scrivere

Una poesia di Virtudes Monserrat piacerà per le sue note semplici ma illuminanti, tra le letture estive, la riporto di seguito per chi è poeta e per chi poeta non è, una voce di donna spagnola contemporanea:

S’attarda la notte

in una pigrizia inusitata.

Le palpebre già sognano

un gusto di piume. Una pioggia di baci si arrende al riso

ed il lume di candela stenta

ad abbassare la fiamma.

Domani già bussa sulla mussola molle delle tende

e tu ancora indugi

sull’abbandono

del libro schiuso.

La poesia attinge all’inconscio e se per Freud   c’è un appagamento del desiderio (“Il Poeta e la fantasia” – 1908) ed un giocare come fa il bambino, giocare con parole e sentimenti, sensazioni ed emozioni e soprattutto simboli, per Jung la poesia esprime in modo diretto ciò che la psicologia complessa (analitica) cerca di comprendere e di spiegare.

La Poesia ricostruisce la realtà e ci offre una nuova visione di essa, sfumata, cantata, sognante: tra le Muse della mitologia ellenica che erano considerate il supremo ideale dell’Arte, Talia e Calliope presiedevano agli inni e ai cantici di poesia gaia ed epica.

Nel tempo i nomi delle muse si sono alternati nel presiedere alle diverse arti.

 Teocrito le definisce anche “Pieridi” in quanto nate nella Pieria, una parte della Macedonia ed è curioso e “poetico” osservare che Pieride è anche il nome scientifico che è stato attribuito ad una farfalla che vola tra i cespugli del biancospino, cioè le Muse ispiranti l’arte e la poesia, lievi come ali di farfalla, come farfalla sono cangianti, effimere, ammalianti e spettacolari.

E così è l’arte poetica che promuovono!

Ispiratrici ma anche protettrici queste figure mitologiche del variegato mondo delle Arti umane.

Poetare è quindi fare arte  ed è un ‘arte da proteggere , si tratta di un prodotto delicato da custodire e da difendere; ognuno di noi probabilmente  si cimenta in momenti particolari della vita nell’arte della poesia, comporre versi o solo lasciare libero il pensiero di esprimersi con logiche diverse dall’ordinario, quasi cantando sommessamente oppure urlando una gioia o una sofferenza immense.

Così l’inconscio si esprime, utilizzando anche la forma poetica, quando le sue istanze sono pressanti e non importa- a chi esprime parti di sé con versi da poeta- che la metrica sia corretta, la stesura realmente ricadente nel canone della poesia vera e propria.

Poetico diviene allora il nostro verso, il nostro canto, la nostra parola, quando a guidarla sono le pulsioni forti del sistema inconscio della mente, toccato da esperienze cariche di emozione: così la poesia ci libera e libera le nostre pulsioni dalla gabbia del quotidiano e dà voce immensa allo spirito che anima la vita

Nel 1917 Ungaretti scriveva così la sua “Mattina”, consegnandone all’eternità la memoria evocativa:

M’illumino d’Immenso      

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