Riporto qui – come promesso – il seguito con il finale del racconto breve di Claudio Maioli dal titolo “Silenzi” e vi dirò successivamente perchè ci interessa questa storia di inconfessati Silenzi
Fende l’aria con gesti larghi di un braccio teso, le dita della mano, prima aperte, si stringono bianche nel pugno, fa così per un’ora, un’ora e mezza ogni mattina, cerca di acchiappare le idee, mi spiegano,
Le idee di chi, domando,
sue, soltanto le sue, a questo ci tiene molto,
Ma le cerca in uno spazio comune, chi gli garantisce che non si mescolino a altre,
La mano, le dita, osservi il movimento con attenzione, vede, non si chiudono come a trattenere un insetto, si ripiegano, piuttosto, come obbedendo a un’articolazione precisa, meccanica, le antenne di un satellite che tra tante lunghezze d’onda ne afferrano solo alcune, quelle su cui sono fuggiti, non ricorda quando, i suoi pensieri,
È tanto, Cinque anni, si presentò volontario, prima che fosse tardi, disse, ci pensammo un bel po’ prima di accoglierlo: sobrio, elegante, giacca e cravatta, borsa di cuoio, poteva essere un collega o un ispettore del Ministero. Chiede un colloquio, gli capito davanti io,
Prego, si sieda,
No, grazie,
posa la borsa sul tavolo, la apre e la rovescia: completamente vuota salvo per una busta in bianco, resta immobile qualche minuto poi mi volta le spalle, muove un passo e comincia coi gesti. Da quel giorno, più una parola.
Leggo e rileggo i fogli nella busta in bianco, da quel giorno li leggo ogni giorno che si leva su questa Terra. Li leggo e li ripongo. Poi saluto e esco. «Per oggi basta,» mi dico ogni giorno che cade sulla Terra. Mentre mi allontano sto per alzare un braccio teso. Mi trattengo. Basta, per oggi basta. Affretto il passo verso il cancello.
Così termina il racconto, scrivete i vostri commenti e al prossimo articolo ne parliamo più diffusamente.