Con il termine RESILIENZA cosa intendiamo esattamente?
Intendiamo la capacità di rialzarsi dopo essere caduti e in senso figurato esprime un modo di superare le avversità.
La parola ‘resilienza’, non è nuova, risale al Settecento, in Italia, e l’etimologia è latina: resiliens, participio passato di resilire (‘saltare indietro’), si associano a ciò che rimbalza, ciò che risponde attivamente
Se hanno resilienza le persone si dicono “resilienti”, da non confondere con “resistenti”. Se resistenza evoca un’idea di forza da contrapporre per non essere abbattuti, la resilienza evoca un tipo di forza diversa.
Non è una opposizione ma un cedimento, attraverso il quale e dopo di esso, la persona riesce a ripartire; come se avesse assorbito e digerito il colpo è in grado di ricominciare.
Subire un evento che ci traumatizza o anche molti più semplici eventi che ci sfiancano per la loro portata emotiva o per la loro ripetuta quantità in tempi brevi, quasi eventi banali ma troppi, ecco che potremmo sentirci schiacciati.
A questo punto due scelte: scivoliamo nell’autocommiserazione e ci sentiamo sconfitti oppure ci concediamo un tempo di recupero, di convalescenza, di ristoro e poi siamo pronti a ripartire.
Resilienza vuol dire allora non lasciarsi abbattere, non piangersi addosso, non sentirsi distrutti per poter farne tesoro e cominciare da dove siamo stati interrotti.
Sono le persone resilienti, quelle che affrontano con resilienza i vari contrattempi che riescono a ritrovare lo slancio necessario, uscendo anche più forti dalla dolorosa esperienza.
Non è un’esperienza felice da persone “forti”, c’è un duro lavoro di elaborazione, di fiducia, di capacità di fermarsi e di ascoltare, di attendere.
Di non perdersi d’animo, direbbe la saggezza popolare, cioè non perdere la facoltà mentale più vicina allo spirito vitale, non perdere l’anima ma coccolarla, ristabilirla e di nuovo affidarsi ad essa per continuare la strada intrapresa.